Occimiano è un borgo che sorge ai piedi delle prime lievi colline del Monferrato; la strada che lo congiunge a Casale e ad Alessandria ne costeggia le propaggini. Si può dire che per la sua posizione Occimiano ha sempre goduto di una produzione agricola ampiamente varia: uva e grano in collina, fieno, riso, granoturco e ortaggi in pianura.
Alcuni storici sono certi delle sue origini romane e affermano che ciò sia facilmente constatabile dalla sua struttura. Infatti ha forma rettangolare con accessi collocati a metà dei quattro lati; ha ovviamente strade diritte che si incontrano ad angolo retto, caratteristica dei campi militari romani. Si dice pure che prima ancora che Casale emergesse come località di importanza dalle paludi del Po, Occimiano era già un borgo potente ambito da Vercelli e da Pavia nei loro sistemi di alleanze politiche. Si sa di sicuro che anticamente era sito sulla collina e che, poi, la popolazione si spostò al piano dove correva la via Fulvia (che da Valenza conduceva ad Asti passando per S. Germano) e dove era più facile l’approvvigionamento di acqua.
Tra le sue mura, oggi modeste, si svolse nel passato una notevole storia, tanto da essere menzionato dagli storici come uno dei comuni di primo piano per l’importanza che ebbero nel Medioevo.
Si chiamò nei secoli con il nome di Auximianum (prima del 1932), poi Aucimianum, Oximianum, ed infine Occimiano. Nell’anno 1883 è un’importante “mansio” della via Fulvia.
Tra i ricordi del passato rimane la “Torre”, rudere, pare, del Castello Cavalla insieme ad un paio di lapidi latine murate, ora, in chiesa parrocchiale. Queste due lapidi appartengono al periodo repubblicano romano e cioè al 300-200 a.C., il che lascia arguire che Occimiano ebbe vita in tempi remotissimi.
In mancanza di materiale storico qualificato giova ricordare che un primo cenno di Occimiano nell’era volgare si trova ne “La vita di S. Siro vescovo di Pavia” (I. Chiesa, vol II, colonna VIII) in cui l’autore afferma che detto vescovo, nel 69 d.C. “volle recarsi in Castro Occimiani”. Quindi Occimiano esisteva ed aveva il suo “Castrum” o castello. Poi esistono cenni della cupidigia dei potenti che desideravano il dominio su questo paese, e fra essi, per primi, i Vescovi di Vercelli che rinnovarono nei secoli la conferma su tale dominio richiedendola ai re di loro tempi, ad Ariperto, a Liutprando, a Carlo Magno, a Carlo il Grosso e a tutta la serie degli Ottone e degli Enrico imperatori.
Nel 1149 il Comune passò nelle mani dei Marchesi Aleramici di Monferrato e per quattro secoli ne seguì le vicende. E utile qui ricordare Aleramo capostipite dei marchesi di Monferrato che per tre giorni e tre notti, su tre cavalli diversi, fondò il suo regno sul territorio percorso con la sua galoppata leggendaria!
Nel febbraio del 1159, nel castello di Occimiano si ferma per un paio di settimane l’imperatore Federico detto il Barbarossa, l’implacabile nemico dei liberi comuni, per discutere con i suoi vassalli sulla sorte di Milano, rea di essersi liberata e di aver mancato i patti. Ne emerse la necessità di punirla. Risultato: la città lombarda veniva, come di costume, rasa al suolo.
Occimiano diventa una delle sedi di Guglielmo V principe di Monferrato e anche suo figlio Bonifacio, reduce dalla prima Crociata nella favolosa Terra Santa in soccorso del giovane nipote Baldovino prigioniero del Saladino, si riposava ora ad Occimiano, ora a Pontestura o a Trino, dilettandosi, da buon mecenate, degli spettacoli di giullari, menestrelli o trovadori provenzali o passeggiando nei parchi di tali castelli o ville in compagnia della bella Beatrice sua figlia o delle sue dame castellane o cortigiane.
Nell’anno 1431 Francesco Sforza duca di Milano invade il Monferrato e nella sua corsa conquistatrice occupa Lu, la mette a sacco e si avvia verso il piano; è la volta di Occimiano che cade nelle sue mani ma evita la distruzione col pagamento di una forte somma. Ben diversamente finiscono Mirabello, Pomaro, Conzano e Campagna che vengono distrutte. La stessa piazzaforte di casale cede ma si salva dal saccheggio perché si trova un’ingente somma da versare allo Sforza vincitore.
Passarono in seguito per il nostro paese, introno alla metà del XVI sec. spagnoli e francesi che nelle loro scorrerie guerresche finirono per demolire sia la rocca di Occimiano che le povere abitazioni del contado.
Verso il 1590 Occimiano venne messo all’incanto dai Gonzaga e passò ai genovesi Marchesi da Passano per la bella somma di 11.314 scudi d’oro mantovani, oltre alla cessione dei terreni di Villimpenta nel mantovano.
Poi è la volta dei Savoia. Più avanti ci mette lo zampino Napoleone Bonaparte e Occimiano segue le sorti del Piemonte compreso nel Regno Italico. Ritornerà ai Savoia dopo la bufera napoleonica, con la Restaurazione ed avrà parte importante nel periodo Risorgimentale. Infatti proprio nella villa o Castello dei Marchesi si incontrarono dall’11 al 20 maggio 1859, agli inizi della seconda guerra d’Indipendenza, Vittorio Emanuele II e Napoleone III e qui sicuramente insieme ai loro seguiti: Cavour, Cialdini, Mac Mahon, elaborarono le azioni belliche che dovevano portare alla liberazione e annessione della Lombardia. Certamente sono di quel tempo i fucili rintracciati pochi decenni or sono nella parte rustica del Palazzo Comunale e che ora sono raccolti, ripuliti e ben conservati, nella saletta adibita a Museo Storico in Comune.
Fino al 1930 circa fu Comune di mandamento, col suo Ufficio di Leva, con l’Ufficio del Registro, con la Pretura, con la sede di stazione dei Carabinieri, con un mercato settimanale di una certa importanza.
La sua popolazione che intorno al 1900 era di 2500 anime cominciò a decrescere nei primi decenni del secolo e parallelamente l’importanza del Comune venne a scadere. I tempi della crisi del secondo e terzo decennio del secolo provocarono una forte emigrazione verso l’America del Sud dove gli Occimianesi, particolarmente in Argentina e Cile, poco alla volta si fecero calli…onore…e fortuna.
Paese prettamente agricolo ebbe nella ferace terra dei suoi campi il principale motivo esistenziale. Il terreno, un tempo appannaggio di pochi grossi proprietari, si è spezzato in diversi lotti che le famiglie occimianesi hanno condotto con tenacia e capacità.
Non sono mancate nel passato attività artigianali: fornaci per coppi e mattoni, laboratori per carradori e sermoni, fabbriche di vasi e terraglie, falegnami, decoratori, abili imprese di edilizia, mugnai, fornai, maniscalchi, ecc.
Purtroppo non tutti i lavoratori ebbero sempre un posto d’occupazione e la vita facile. Chi non è più giovane ricorderà la fila dei giornalieri allineati sotto i portici grandi in attesa del “padron” che assicurasse le poche lire indispensabili per campare, dopo un’interminabile giornata di lavoro.
Sono di questo periodo alcuni dei sanguinosi regolamenti di conti, trame nebulose, lacerazioni e mischie, ma il paese seppe trovare poco alla volta la sua unità. Ebbe il suo bandito, il Munfrén passatore-ergastolano, che tornò poi a finire i suoi giorni al ricovero.
Poi venne il periodo fascista ed Occimiano ebbe le sue divise, gli orbace, le camicie nere, i fez, le aquile ed…i suoi balilla, i figli della lupa, gli avanguardisti, i giovani fascisti ed anche i Legionari che diedero una mano alla conquista dell’impero coloniale, che morirono o che tribolarono.
E fu la guerra. L’ultima, di quarant’anni fa. Chi ormai ha passato la cinquantina ricorderà anche Occimiano nel periodo bellico con l’oscuramento, la povertà di tutto, la cartolina rosa, gli annunci dei primi Caduti, i bombardamenti, Peppino l’aviatore notturno, le tessere dei pochi generi alimentari, le privazioni, gli sfollati, il pane nero, i bollettini di guerra, l’armistizio del ’43, Radio Londra, i rastrellamenti, la posta censurata, le macellazioni clandestine, la requisizione del bestiame, la borsa nera, il sale introvabile, il tabacco in foglie, le auto a carbonella, i neofascisti, i renitenti alla Leva, i partigiani ed infine…la Liberazione con gli Inglesi, gli Americani, i Brasiliani con il loro cioccolato, il chewingoum, e le sigarette buone. Fu subito il ritorno all’illuminazione pubblica e all’euforia generale. Dissolto l’incubo della morte, della paura, del silenzio si poteva dar sfogo con lo stordirsi…con il piangere…con il ridere…con l’esplosione di vitalità nuova.
Quindi venne la Repubblica, la democrazia, la speranza di un migliore avvenire, la ripresa in pieno della vita. E Occimiano ha ripreso a vivere e a lavorare in pace. E ritornato il ballo in piazza, sono nate le orchestrine, sono passate la grandi orchestre, i cantanti famosi…sono nati soprattutto i complessi industriali, si è sviluppata la meccanizzazione dell’agricoltura per recare lavoro e prosperità a tutti.
da Car al me Sümian…, di Franco Barberis, 1981